Cala Arena

Il 15 giugno del 1611 una gruppo di persone influenti (tra queste anche il sassarese Antonio Canopolo vescovo di Arborea) sono a Cala d’Arena per decidere in quale punto costruire la nuova torre.
La scelta cadde su una località vicina all’insenatura, denominata Cabu Ruiu. Da quel punto la torre avrebbe sorvegliato e protetto altre quattro cale e la sorgente d’acqua.

La torre venne progettata dal capitano ordinario delle Opere del Regno di Sardegna Andrea Perez, mentre la costruzione venne affidata ai capi mastri Girolamo Carta e Giorgio Lochi. Nel 1721 l’ingegnere Felice De Vincenti sottolinea lo stato di abbandono della torre.

Nel 1761 il luogotenente di artiglieria Miolis espose al vicerè le ragioni per cui riteneva opportuno riparare la torre di Cala d’Arena.
Essa infatti avrebbe protetto le vicine insenature dagli sbarchi dei mori che vi approdavano per rifornirsi d’acqua o impadronirsi del bestiame. Secondo le sue indicazioni, adeguatamente restaurata, la torre doveva essere governata da un alcaide, un artigliere, 5 soldati e dotata di armi. Ma nel 1767 si decise di non procedere perché si utilizzava la struttura per fare contrabbando, tant’è che nel 1799 Giuseppe Cossu nella sua descrizione del sistema difensivo del golfo dell’Asinara denuncia il fatto che la torre risultava rovinata e senza guarnigione.

Castellazzo

Il Castellaccio o Castellazzo domina l'intera rada da un'altura di 215 metri, in un perfetto mimetismo cromatico con le rocce granitiche con cui è stato edificato intorno al 1000 per il controllo dello stretto di Fornelli.

La sua edificazione dovrebbe essere contemporanea al convento di S. Andrea situato poco più a nord ed elevato fra i monasteri camaldolesi, come è detto in un'ordinanza del pontefice Onorio III.

La fortezza è cinta da possenti mura guarnite agli angoli da diverse torri. Gli storici affermano che la struttura venne utilizzata prima da Andrea Doria e successivamente (ma forse anche insieme), dal corsaro Barbarossa: si pensa che i due fossero in combutta al fine di incassare somme di denaro da ciò che erano gli ordini costituiti.

Da un testo del Fara risulta che nel 1580 il fortilizio era in rovina, eppure la stessa Sassari si preoccupò di denunciare il pericolo dei corsari presenti a Fornelli e a Punta Barbarossa. Si trattava di risistemare il vecchio fortilizio medioevale, che venne restaurato alla fine del secolo XVI, tant'è che nel 1597 lo troviamo dotato di 14 persone in tutto tra artiglieri, soldati e aiutanti, fornita di barche e vettovaglie con a capo l'alcaide Francesco Gil. Ma già nel 1599 il numero dei soldati presenti all'interno del forte si era ridotto a 10, soprattutto perchè le spese per il funzionamento del Castellazzo si rivelarono insostenibili.

Nel 1609 è segnalato un restauro così pure nel 1766 e nel 1783. L'ultima riparazione fu eseguita nel 1834.

Cala d'Oliva

La Torre di Cala d’Oliva venne costruita nel 1611 su un progetto del capitano ordinario delle Opere del Regno di Sardegna, Andrea Perez. La sua posizione le permetteva il controllo di una spiaggia frequentata dai barbareschi per la manutenzione delle loro barche.

In seguito alla realizzazione della torre l’approdo non risultò più apprezzabile per intrattenersi indisturbati. La vista che si domina dalla torre permetteva agli addetti di comunicare con i responsabili presenti nella torre di Porto Torres.

Nel 1637 un contingente francese attaccò la torre danneggiandola gravemente. Subito dopo però si intervenne, introducendo anche qualche innovazione per renderlo più adatto alla sua funzione. Restauri furono apportati lungo tutto il Settecento e nella prima metà del secolo XIX: l’ultima manutenzione documentata risale al 1840.

Intorno alla prima metà del XVIII secolo la torre di Cala d’Oliva fu al centro di un fatto gravissimo: l’alcaide con alcuni suoi complici salirono furtivamente a bordo di un bastimento francese e dopo aver trucidato quasi tutto l’equipaggio (era scampato all’eccidio un certo Mayolo che si era salvato a nuoto) si impadronirono della nave per poi fuggire verso la Corsica.

Il fatto in se suggerisce, forse, l’esistenza di una sorta di complicità dei torrieri con i contrabbandieri. Questa complicità indusse, nell’ottobre del 1755, il vicerè a proporre un servizio di almeno 4 sciabecchi guardacoste che avrebbero garantito non solo la difesa dei litorali ma anche controllato l’attività dei torrieri.

*Nota di approfondimento - Nell'immagine a destra, il cannone (oggi posizionato dinanzi alla torre aragonese di Cala d'Oliva) non faceva parte del sistema difensivo del borgo omonimo. Il pezzo di artiglieria era stato spostato, alla fine degli anni 40 del secolo scorso dal molo di Fornelli (sotto gli alberi di tamerici), nei pressi della struttura dove si trovava il sanatorio nota oggi come "supercarcere di Fornelli".

Si presume che tale cannone fosse destinato alla fortezza del "Castellazzo" oppure fosse una preda di guerra che doveva essere portata via dall'isola.

La ditta Mazzei di Livorno, che aveva l'incarico di raccogliere il ferrovecchio presente nell'isola, tentò di portarsi via il cannone imbarcandolo dal molo di Cala Reale ma il giovane Gianfranco Massidda - residente nel borgo di Cala d'Oliva - denunciò il fatto all’allora direttore del carcere Fadda, che provvedete immediatamente al suo trasferimento nel borgo di Cala d'Oliva.

Alla fine degli anni 60 fu il brigadiere Agnelli (il realizzatore di tutti i più importanti invasi presenti sull'isola) a far si che il cannone fosse posizionato dinanzi alla torre di Cala d'Oliva così da abbellire il tratto di strada che va dal borgo a "Cala Murighessa" (nota erroneamente come "Cala dei Detenuti"): infatti in quel periodo, gli abitanti del borgo, in quel tratto di strada illuminata con i pali della luce, erano soliti fare delle passeggiate.

Trabuccato

Il Promontorio di Punta Trabucato è un lembo di terra proteso verso il mare a chiudere, a nord, la Rada della Reale. Domina sull’altura, a poco più di 30 metri di quota, la torre omonima che permetteva ai torrieri di controllare un vasto tratto di mare e di comunicare sia con il Castellazzo che con le torri di Cala d’Oliva, Cala d’Arena, Punta del Falcone e Porto Torres.

La torre fu innalzata dai capi mastro Girolamo Carta e Giorgio Lochi, su progetto del capitano ordinario delle Opere del Regno di Sardegna, Andrea Perez. I lavori iniziarono il 15 agosto del 1609 e terminarono nel dicembre dello stesso anno.

Nel 1637 subì diversi attacchi con relativa occupazione prima ad opera delle navi corsare di Biserta e successivamente, nel mese di dicembre dello stesso anno, ad opera di corsari francesi comandati dal capitano De Roques. Questi sbarcò nell’isola, e con la complicità dell’alcaide Giovanni Maria Casagia occupò la torre, dove lasciò una piccola guarnigione. La flotta prese il largo alla ricerca di rinforzi per attaccare la piazzaforte di Alghero.
La paura di un nuovo attacco francese si diffuse nel Regno.
La risposta militare fu abbastanza tempestiva: le truppe sarde, con diverse compagnie di cavalleria, di fanteria e con alcuni pezzi di artiglieria, sbarcarono nell’isola e assediarono la torre. I soldati francesi si arresero. Pochi giorni dopo però tre grosse navi francesi, vedendo rioccupata la torre, incominciarono a bombardarla, ma poiché l’artiglieria sarda rispose con un energico e ben diretto fuoco, furono costrette ad allontanarsi.

Il capitano De Roques inviò allora a terra un’ambasciata per chiedere la liberazione dei soldati francesi prigionieri. I capitani delle milizie sarde dopo qualche esitazione, consegnarono i prigionieri per liberare l’erario da maggiori ed inutili spese.

Il capitano De Roques non restituì però i pezzi d’artiglieria presi dal Castellazzo e già trasportati in Francia. Il governo viceregio aprì un’inchiesta sull’episodio, accusando di intelligenza col nemico il governatore del Capo di Sassari e Logudoro, Francesco Raimondo de Sena.

Queste ripetute scorribande ridussero sicuramente la torre in uno stato conservativo assai compromesso fino a quando non si resero necessari alcuni interventi di cui uno piuttosto importante nella seconda metà del XVIII secolo su progetto dell’ingeniere Belgrano di Famolasco.

Si hanno notizie di ulteriori interventi fino alla prima metà dell’Ottocento, cosicché la torre continuò a mantenere una certa efficienza, anche se cambiò la sua destinazione d’uso.

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